Non ricordo tutto per filo e per segno, ma il succo era che si poteva diventare madri anche senza partorire. Che l’amore non c’entrava niente con la biologia. Che la madre era la donna che ti cresceva, ti puliva il naso e ti dava la buonanotte.
Gli istanti sono avari. Ma certe volte un istante si allarga, e concede quello che di solito è negato.
Dice che fare il professore gli manca, che la pensione è la vera sciagura dell’uomo perché è lasciato in balia di se stesso, e non c’è niente di più pericoloso di un uomo in balia di se stesso.
Gli uomini che dicono sempre sì, nascondono una pancia piena di no.
Non ha mai ucciso, ma quando fai paura a qualcuno, un po’ lo uccidi sempre.
Penso all’ingiustizia di un carcinoma all’orofaringe, che ci ha privati tutti questi anni di una comunicazione immediata. Penso a come le persone sprechino gli urli e si ostinino nel silenzio, sicuri che la voce rimarrà per sempre a divertirsi nella loro bocca, il bel parco giochi con la gola per scivolo e la lingua per altalena.
Ognuno ha il proprio modo di placare la sua sete di sapere. Io bevo da una crepa nella tenda, tu da un buco della serratura. Loro sanno che sono lì fuori. Mi lasciano ascoltare. Il permesso di ascoltare non si nega.
La mancanza di risposte non ti vieti mai di porti domande.
Ho sempre pensato che nel libro di Márquez il paese di Macondo sia più uno stato metafisico che uno spazio topografico. Una specie di malinconia, una sensazione di solitudine e insoddisfazione.
Maia ti amava, ma pensava prima a se stessa. E forse è questo che le impedì di essere madre. Quando sei madre, ti fermi. Se serve, fai un passo indietro.
Il passato non si contiene. È ovunque, e sempre, come l’aria. Vive dentro e fuori di noi, nei nostri passi, nei nostri gesti. E respira nelle persone che ci aiutano a fare di noi quello che dobbiamo diventare.
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